Zanon, Motore Sanità: destiniamo al Ssn l’1% della spesa pubblica improduttiva.

Claudio Zanon

Sanità, governo della Salute e sostenibilità del Servizio sanitario pubblico: il serrato dibattito di queste settimane – sulla necessità di adeguare la torta nazionale dei finanziamenti per la Salute – trova tutti d’accordo nel ribadire l’insufficienza delle risorse nel piatto per sostenere il peso di un sistema universalistico, che fornisce tutto a tutti, comprese le decine di migliaia di stranieri ospitati sul territorio nazionale senza permesso di soggiorno.
“Siamo convinti che occorra prendere atto della sottostima del finanziamento necessario – avverte Claudio Zanon direttore scientifico dell’Osservatorio Innovazione di Motore Sanità – mettere da parte ogni polemica politica tra chi ha torto e chi ragione, evitare di strillare dal basso e  costruire, al posto di posizioni difensive, una proposta per uscire fuori da questo circolo vizioso”. La proposta è di verificare la possibilità di dirottare l’1% della spesa pubblica improduttiva e parassitaria alla Sanità recuperare una decina di miliardi  (es° la chiusura degli enti inutili Stima Codacons 2015) da inserire nel fondo sanitario nazionale che avrebbe il vantaggio di rilanciare una industria della Salute e il suo indotto leve fondamentali per far camminare tutta l’economia, aumentare l’occupazione e garantire la qualità di un servizio sanitario pubblica che un tempo tutti in Europa e nel mondo invidiavano all’Italia.
Il 27 settembre il Consiglio dei ministri ha approvato la Nota di aggiornamento al documento di economia e finanza (Nadef), con le previsioni sulle risorse destinate alla sanità nei prossimi anni. I partiti di opposizione, hanno subito accusato il governo di Giorgia Meloni di voler tagliare i soldi per gli ospedali e per le cure dei cittadini. Nel 2023 la spesa sanitaria è prevista toccare i 134,7 miliardi di euro, in aumento rispetto al 2022, ma nel 2024 la cifra scenderà a circa 133 miliardi, per poi risalire nel 2025 e nel 2026, quando la spesa è stimata intorno ai 136 miliardi. In rapporto al Pil si passa dal 6,7 per cento di quest’anno al 6,1 per cento del 2026. È presto però per parlare con certezza di tagli: questi numeri infatti fanno riferimento allo scenario “a legislazione vigente”, ossia sulla base delle norme attualmente in vigore, e non tengono conto delle risorse che il governo potrà destinare alla sanità con la prossima legge di Bilancio, da approvare entro la fine dell’anno. Non va poi dimenticato che anche le due Nadef precedenti, del 2021 e del 2022, approvate dal governo Draghi, prevedevano un calo della spesa sanitaria in rapporto al Pil. È vero che nel 2020 e nel 2021 questa percentuale ha superato il 7 per cento, ma ha pesato molto la pandemia di Covid-19: al numeratore è cresciuta la spesa sanitaria per far fronte all’emergenza, al denominatore è crollato il Pil a causa della crisi economica.
La sottostima del fabbisogno di risorse è dunque un nodo irrisolto con i partiti di opposizione che puntano il dito sulla maggioranza per la manovra di bilancio, ritenuta insufficiente, e il Governo pronto a replicare per dimostrare il proprio impegno e le colpe, semmai, di chi ha governato in passato senza incidere di una virgola sulla storica sottostima del fabbisogno di risorse e personale limitandosi a tamponare di anno in anno lo sgretolamento delle percentuali di Pil investite.  
Ora si leva con sempre maggiore insistenza anche la voce di sindacati dei camici bianchi, della dirigenza medica, di infermieri e tecnici, con la levata di scudi anche di Ordini professionali e associazioni di categoria.
“In realtà hanno tutti ragione – avverte Claudio Zanon direttore scientifico di Motore Sanità che con l’Osservatorio Innovazione ha attivato un centro studi di cui fanno parte, tra gli altri, Enrico Rossi, ex presidente della Regione Toscana, Rossana Boldi Vicepresidente XII Commissione (Affari Sociali) Camera dei Deputati, Anna Maria Parente, Presidente Commissione Sanità XVIII Legislatura Senato, Walter Locatelli, Luciano Flor, Anna Maria Minicucci – il finanziamento del Fondo sanitario nazionale è infatti da anni oramai insufficiente. Oggi il rapporto col Prodotto interno Lordo non tiene peraltro conto dell’aumento vertiginoso dei costi, dall’energia alle materie prime, dai farmaci ai dispositivi alle tecnologie informatiche. La bolletta energetica di Asl e ospedali ad es° non è tenuta in debito conto ma sta erodendo risorse destinate in origine a personale e assistenza pubblica e accreditata. Il gap dei finanziamenti che l’Italia, rispetto ai Paesi Ocse, dedica alla Sanità, è presente almeno dal 2010 consolidatosi sia durante i governi di sinistra sia nel corso di quelli di destra e quelli tecnici che hanno goduto di un sostegno bipartisan. Ed è un fatto che i cittadini italiani per curarsi spendono circa 40 miliardi di tasca propria di spesa completamente privata o tramite il sistema assicurativo e delle casse autonome.
Basta citare alcuni dati estrapolati dai rapporti della Corte dei conti sulla spesa delle Regioni: l’Italia già nel 2016 raggiungeva il 6,2 per cento nel rapporto tra spesa sanitaria e percentuale del Pil salito fino al 6,7 raggiunto nel 2020 con la pandemia per poi ridiscendere nel 2021 al 6,6 e quindi tornato in basso al 6,1% nel 2021 e nel 2022. Chiaramente il rapporto col PIL è dovuto alla quantità del prodotto lordo interno, quindi durante la pandemia il rapporto è aumentato perché il Pil era diminuito.  Intanto va anche detto che secondo le stime del Documento di Economia e Finanza (DEF) 2023, la spesa farmaceutica del Servizio Sanitario Nazionale (SSN) italiano è prevista in aumento del 9,2% nel 2023, rispetto al 2022. La spesa per i dispositivi medici è anch’essa prevista in aumento del 3,8%.
“Bisogna chiarire che il rapporto tra spesa sanitaria e PIL – aggiunge Zanon – è un indicatore utile per confrontare la spesa sanitaria di diversi paesi ma non è sufficiente per comprendere la reale necessità di finanziamento della sanità. Questo perché il rapporto spesa sanitaria/PIL non tiene conto di altri fattori importanti, come l’età media della popolazione, la prevalenza di malattie croniche, il livello di innovazione tecnologica e il costo dei farmaci. Ad esempio, un paese con una popolazione anziana avrà una spesa sanitaria più alta di un paese con una popolazione giovane, anche se il rapporto spesa sanitaria/PIL è identico”.
E l’Italia è uno dei paesi più longevi d’Europa e a più bassa natalità. Quindi ha bisogno di più risorse per la Salute. Inoltre, un paese con una prevalenza elevata di malattie croniche, come malattie cardiovascolari, diabete e cancro, tipiche degli anziani, avrà una spesa sanitaria più alta di un paese giovane e sano.