Stop all’intramoenia se le liste di attesa sono lunghe
e l’attività privata supera quella istituzionale

Liste di attesa troppo lunghe in Campania, non solo per i ricoveri programmabili ma anche per la cosiddetta specialistica ambulatoriale: la Regione corre ai ripari e per evitare che la strada del privato diventi l’unica alternativa ma solo per chi può mettere mano al portafogli tira il freno all’attività cosiddetta intramoenia, ossia quella erogata in regime privatistico da Asl e ospedali e dunque a pagamento per il paziente.
Parliamo delle attività di diagnostica (radiologica e strumentale, analitica, di genetica, Tac, Risonanze, artroscopie, esami audiometrici, ecografie, scintigrafie ecc.) e di tutte le altre indagini che quotidianamente vengono prescritte a migliaia di pazienti per sciogliere un quesito diagnostico. E parliamo anche dell’attività clinica ambulatoriale assicurate dai medici specialisti (o comunque sotto la loro responsabilità) negli ambulatori e nei laboratori territoriali o ospedalieri (visite, controlli, radioterapia, medicazioni, suture, attività di piccola chirurgia, dialisi, trattamenti odontoiatrici, gessi e psicoterapia, riabilitazione e così via).
A mettere nero su bianco la nuova disposizione è una nota di palazzo Santa Lucia diramata nella settimane scorse a tutti i direttori generali di Asl e ospedali. Un semaforo rosso che deve scattare “In caso di accertato superamento del rapporto tra attività in intramoenia e istituzionale (la prima per legge non può mai essere superiore alla seconda ndr) o di accertato sforamento dei tempi massimi di attesa”. In questo caso i manager dovranno sospendere ad horas il diritto del personale ad erogare prestazioni in regime libero professionale fino al riequilibrio dell’offerta. La premessa è che da un esame recente dei dati relativi alle performance di attività relative al 2022 emerge una “preoccupante criticità in ordine al rapporto tra le prestazioni specialistiche ambulatoriali erogate in regime istituzionale e quelle erogate invece in regime di libera professione intramoenia” con uno sbilancio della proporzione, per alcune prestazioni sentinella, favore di quella privata.
Come è noto la libera professione intramuraria chiamata anche “intramoenia” si riferisce alle prestazioni erogate al di fuori del normale orario di lavoro dai medici di un ospedale o una Asl i quali utilizzano le strutture ambulatoriali e diagnostiche dell’ospedale stesso a fronte del pagamento, da parte del paziente, di una tariffa. Il medico è tenuto al rilascio di regolare fattura e la spesa, come tutte quelle sanitarie, è detraibile dalle imposte. Le prestazioni sono generalmente le medesime che il medico deve erogare, sulla base del suo contratto di lavoro con il Servizio sanitario nazionale attraverso la normale operatività come medico pubblico. Visite e analisi (ma anche interventi chirurgici) assicurati in regime di intramoenia garantiscono al cittadino la possibilità di scegliere il medico a cui rivolgersi per una determinata prestazione ma non consentono di aggirare le liste di attesa. Per l’azienda e il professionista invece assicurano un extra gettito.

Sulla questione il fronte sindacale della dirigenza medica campana punta il dito sottolineando alcune contraddizioni della nota regionale e chiede di risolvere a monte il nodo delle liste di attesa. “La Regione – scrivono i camici bianchi – l’8 febbraio del 2022 nelle linee di indirizzo per i regolamenti aziendali in materia di attività libero professionale intramuraria prevede che la sospensione dell’attività libero professionale deve essere un evento eccezionale e richiama il Servizio sanitario regionale nel suo insieme all’adeguamento del piano di produzione alle necessità organizzative. Qualora dal monitoraggio dei tempi di attesa – continua la nota – si registrino tempi d’attesa istituzionali superiori a quelli previsti e volumi di attività intramoenia (come nel caso in questione) sovrapponibili o superiori a quelli istituzionali, le aziende sanitarie sono tenute a valutare l’impatto dell’attività privata sui tempi d’attesa istituzionali e rimodulare i volumi delle une e delle altre”. In pratica dovrebbe intervenire una verifica, da parte di un gruppo paritetico di cui i medici fanno parte, prevedendo che una quota dell’attività libero professionale diventi pubblica per l’utenza e sia “acquistata” e pagata ai professionisti con i fondi nazionali e regionali per le liste di attesa. In Campania il nodo è anche la disponibilità di personale: molti medici sono distratti dalla loro attività istituzionale per coprire i buchi in organico in aree sensibili, in particolare le urgenze e i pronto soccorso. In pratica la sospensione “ad horas” disposta dalla Regione non è contemplata dalle norme ma sarebbe un evento eccezionale cui giungere solo in presenza di liste di attesa che esorbitano in maniera sistematica e continuativa i tempi massimi previsti e dopo che i meccanismi correttivi si siano rivelati inefficaci. Da qui la richiesta di rimodulazione del provvedimento.
Di diverso avviso la Cgil medici e Funzione pubblica che invece considerano condivisibile il provvedimento regionale: “Un atto opportuno e condivisibile – spiegano – perché interviene su uno dei principali nodi strutturali del sistema che influenza la migrazione sanitaria, la rinuncia alle cure da parte di cittadini in disagio sociale e che mina la credibilità di un Sistema Salute pubblico, equo ed universalistico. Diversi studi hanno dimostrato una correlazione tra aumento delle liste di attesa e aumento del pagamento “out of pocket” delle famiglie delle prestazioni sanitarie negli ultimi 10 anni. Sappiamo bene che le lunghe liste d’attesa hanno diverse cause come il mancato turn over, il blocco delle assunzioni operanti per anni ma trovano anche nella libera professione una delle cause percepita dal cittadino come la forma più odiosa e discriminante perché spesso ricorrere alla libera professione non è una libera scelta del cittadino ma una scelta condizionata e quasi obbligata che spezza il patto etico tra medici e cittadini”. Resta il fatto che le Aziende sanitarie sono obbligate a regolamentare i volumi di attività e i tempi di attesa, affinché il ricorso alla libera professione sia una libera scelta del cittadino e non una conseguenza di una carente organizzazione della attività istituzionale. E su questo sono tutti d’accordo, medici compresi. Se la circolare regionale si pone l’obiettivo di impedire che il ricorso alla libera professione sia dettato da uno “stato di necessità” per carente organizzazione della attività istituzionale bisognerebbe intervenire dunque soprattutto sull’organizzazione del sistema di cure pubbliche e in accreditamento.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *