Corcione: il lavoro dei medici oggi è diviso tra “vorrei fare” e “chi me lo fa fare”

Gli errori dei medici? Presto non saranno più reato: parola di ministro della Salute Orazio Schillaci. intervenuto sulle colonne de Il Mattino il Ministro parte da una premessa: il  98 per cento dei procedimenti penali a carico dei medici si risolvono con un’assoluzione ma la paura di querele e delle interminabili sequele giudiziarie spinge paradossalmente tanti camici bianchi a mettere da parte la propria perizia e competenza per trincerarsi dietro la cosiddetta medicina difensiva. Ossia anziché operare i malati per tentare di salvarli si ricorre a migliaia di Tac, risonanze e altri esami strumentali inutili, inappropriati e dispendiosi che non solo non servono a curare al meglio i pazienti ma determinano anche un considerevole dispendio di risorse sottratte al Servizio sanitario pubblico.  

“Dopo dieci anni di carta bollata e decine e decine di chiamate in aule di tribunale, tra perizie e controperizie, in uno dei pochissimi procedimenti giudiziari che ho subito nella mia lunga carriera di chirurgo, il giudice ha stabilito che non ho alcuna colpa dell’esito negativo di una malattia in cui mi sono preso la responsabilità di intervenire. In un altro ancora in corso si pretende che a prescindere da rischi intrinseci dell’atto chirurgico e condizioni cliniche imprevedibili, un chirurgo debba sempre e comunque salvare il paziente che opera, sebbene quest’ultimo sia affetto da gravi patologie”. A parlare è Franco Corcione, presidente emerito della Società italiana di Chirurgia che dopo una lunga carriera svolta tra il Monaldi e, da docente ordinario, al policlinico Federico II, oggi continua a operare in una struttura accreditata di Napoli.

IL CHIRURGO

Ho letto su Il Mattino – avverte Corcione –  la presa di posizione del ministro della Salute e la condivido in pieno. Solo in Italia e un paio di altri paesi in Europa e nel mondo esiste la responsabilità penale del medico. In un siffatto sistema il chirurgo viene sempre più spinto a scegliere tra il “voler fare” – ossia provare a salvare sempre e comunque il paziente anche se versa in condizioni critiche e talvolta disperate e il “chi me lo fa fare”, dichiarando pertanto magari inoperabile, dopo svariate analisi diagnostiche, un paziente che invece, pur con tutti i rischi del caso, si potrebbe provare a salvare. Depenalizzare l’atto chirurgico – continua Corcione – significa poter ristabilire una soglia di serenità al professionista medico o chirurgo  che opera e che sempre, indipendentemente dalla qualifica che ricopre e dal tipo di intervento in cui è chiamato a misurarsi offre sempre il massimo delle sue competenze e capacità”.

Dai dati in possesso della Società italiana di chirurgia l’esborso del Servizio sanitario nazionale per esami inutili e inappropriati nell’ambito della medicina difensiva ammonta a svariati miliardi di euro circa 30 secondo alcune stime di cui il 10 per cento (circa 300 milioni) in Campania.

Il rapporto medico paziente – continua a ragionare Corcione – è sempre più legato al raggiungimento dell’obiettivo, ossia la vita salva sempre e comunque a prescindere da qualunque altra considerazione di ordine medico e clinico.

“Bisogna invece comprendere che ogni atto chirurgico – spiega Corcione, considerato a livello internazionale un pioniere della chirurgia laparoscopica e robotica e un vero fuoriclasse del bisturi – rappresenta un viaggio con tutte le sue incognite nonostante le tecnologie. Se prendo un freccia rossa o un aereo sembra quasi scontato che tutto debba avvenire secondo standard di precisione e puntualità che purtroppo però in pur minima percentuale di casi non possono essere sempre rispettati.  Ed ecco che la casistica rimanda ai ritardi, agli incidenti , rari ma possibili. Oggi sono sempre di meno gli allievi anche brillanti che intraprendono la carriera del chirurgo, del ginecologo, del rianimatore o del medico di pronto soccorso proprio per gli elevatissimi rischi di incorrere in un procedimento penale a fronte di sacrifici non più riconosciuti come era un tempo e anzi in un rapporto altamente conflittuale con i pazienti e le famiglie che escludono la possibilità della morte anche di fronte ad oggettive gravi situazioni cliniche già profondamente compromesse.

Corcione affonda anche sul merito della dinamica dei procedimenti giudiziari: “i medici sono chiamati dal giudice ad esprimere una perizia chiarificatrice. Ebbene per la chirurgia i periti d’ufficio sono colleghi sicuramente preparati da un punto di vista Medico legale ma il più delle volte -direi quasi mai- hanno esperienza dell’atto chirurgico in esame. Se ho effettuato 100 gastrectomie o 100 pancreasectomie o 100 colecistectomie posso avere competenze specifiche per capire cosa è successo. Invece il più delle volte a giudicare sono specialisti in chirurgia che non hanno mai eseguito interventi per cui sono chiamati a giudicare. La Società italiana di chirurgia già dai tempi della mia presidenza si sta battendo per avere come consulenti di ufficio dei giudici chirurghi esperti in tale settore e nel tempo sono state stilate liste di esperti puntualmente ignorate dal giudice”.

Sullo sfondo Corzione punta il dito anche agli interessi degli avvocati che fanno bella pubblicità davanti agli ospedali sui possibili risarcimenti in caso di insuccesso. “Questa deriva – conclude Corcione – genera al paziente la convinzione che se le cose non vanno bene è colpa del chirurgo che quindi deve pagare con la mortificazione di processi avvilenti con il doversi sottomettere a giudici e avvocati purtroppo poco avveduto e competenti in materia ma che ritengono il più delle volte che bisogna cercare sempre il colpevole dove invece un colpevole non c’è”.

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