
Un team di ricerca internazionale, guidato da Lorenzo Bianco (Università di Torino) ha identificato un nuovo gene responsabile della retinite pigmentosa (RP): si tratta di IDH3G, che è il quarto gene ad essere associato alla forma di questa malattia legata al cromosoma X. Lo studio è da poco stato pubblicato sulla rivista scientifica Genetics in Medicine. La scoperta del gene IDH3G come responsabile della retinite pigmentosa legata al cromosoma X è un importante passo avanti nella comprensione di questa malattia complessa. La retinite pigmentosa è una patologia degenerativa della retina che porta progressivamente alla perdita della vista e può essere causata da mutazioni in oltre 80 geni diversi.
La scoperta potrebbe aprire la strada a nuove terapie, sia farmacologiche che correlate alla terapia genica, per trattare la retinite pigmentosa legata al cromosoma X. La terapia genica è già stata approvata per alcune forme di retinite pigmentosa, come quella causata dalla mutazione del gene RPE65 e a Napoli, la collaborazione tra il centro specialistico diretto da Francesca Simonelli e il Tigem, è all’avanguardia nel mondo per la cura genica di questa forma. La ricerca continua per sviluppare nuove terapie e trattamenti per le diverse forme di retinite pigmentosa. La collaborazione tra ricercatori e clinici è fondamentale per diagnosticare e curare malattie genetiche complesse come la retinite pigmentosa. La partecipazione a network internazionali come l’European Retinal Disease Consortium (ERDC) è importante per condividere dati clinici e genetici e aumentare la comprensione delle distrofie retiniche consentendo la collaborazione tra oculisti, genetisti e ricercatori di base è essenziale per sviluppare nuove terapie e trattamenti per le malattie retiniche. Centrale la diagnosi genetica per identificare il gene mutato responsabile della retinite pigmentosa e sviluppare trattamenti personalizzati. Il test NGS (Next Generation Sequencing) può aiutare a identificare il gene mutato e a comprendere la forma genetica della malattia.
In sintesi, la scoperta del gene IDH3G è un importante passo avanti nella comprensione della retinite pigmentosa e potrebbe aprire la strada a nuove terapie e trattamenti per questa malattia complessa. La collaborazione tra ricercatori e clinici è fondamentale per diagnosticare e curare le malattie genetiche e sviluppare nuove terapie.
“Si tratta di ulteriore tassello inserito nel complesso puzzle che conduce alla comprensione di una malattia complessa come la retinite pigmentosa – spiega Sandro Banfi, ordinario di Genetica Medica presso il Dipartimento di Medicina di Precisione della Università della Campania ‘Luigi Vanvitelli’, ricercatore TIGEM (Istituto Telethon di Genetica e Medicina) di Pozzuoli e membro SIGU (Società Italiana di Genetica Umana) – una rara patologia degenerativa della retina che porta progressivamente alla perdita della vista”.
“La retinite pigmentosa è associata a più di 80 geni mutati, ma solo 4 sono legati al cromosoma X, quindi al cromosoma sessuale. In particolare sappiamo che il gene IDH3G è correlato alle funzioni mitocondriali (deputate alla produzione di energia), e questa scoperta apre la strada a delle potenziali implicazioni terapeutiche, sia farmacologiche che correlate alla terapia genica”, aggiunge Banfi.
Per le malattie retiniche è già stata approvata una terapia genica (voretigene neparvovec), indicata però solo per la forma causata dalla mutazione biallelica del gene RPE65. “Ma ci sono molte terapie in fase di sperimentazione clinica – prosegue il Professore, che proprio in questi giorni si trova a Salt Lake City (USA) per il meeting internazionale annuale di ARVO (The Association for Research in Vision and Ophthalmology) – e insieme a me ci sono molti colleghi di SIGU impegnati in prima persona nella ricerca delle cause della retinite pigmentosa e altre patologie retiniche, e nella messa a punto di nuovi approcci terapeutici”.
“SIGU è fortemente rappresentata anche all’interno dell’European Retinal Disease Consortium (ERDC), un consorzio europeo di ricerca scientifica e medica focalizzato sullo studio delle malattie ereditarie della retina, come la retinite pigmentosa, la malattia di Stargardt, e altre distrofie retiniche. L’ERDC – continua Sandro Banfi – è composto da centri di ricerca, ospedali universitari e laboratori genetici di diversi paesi europei. Si basa su una rete di esperti che condividono dati clinici e genetici per aumentare la comprensione delle distrofie retiniche. Del network ERDC allargato fanno parte diversi centri italiani, che rappresentano un’eccellenza nazionale”.
“La partecipazione a questi network internazionali è fondamentale quando si tratta di diagnosticare e curare malattie genetiche così complesse – conclude Banfi – e la massiccia adesione dei genetisti SIGU a tali iniziative contribuisce a rafforzare la fondamentale collaborazione tra oculisti, genetisti e ricercatori di base. È infatti l’oculista a porre la diagnosi clinica di retinite pigmentosa, ma per capire di fronte a quale forma genetica ci troviamo è necessario che un genetista medico prenda in carico il paziente, accompagnandolo verso un test NGS (Next Generation Sequencing) che possa identificare il gene mutato. Solo mappando geneticamente i pazienti con retinite pigmentosa i ricercatori possono sviluppare e studiare nuove terapie, che devono essere sottoposte a sperimentazione clinica proprio dagli stessi oculisti. Questo è l’esempio di una rete virtuosa che permette di massimizzare la presa in carico dei pazienti e l’attenzione alla ricerca clinica”.
La retinite pigmentosa è il nome dato a un insieme di malattie genetiche (le distrofie retiniche ereditarie) che colpiscono la retina, la parte dell’occhio che permette di vedere. Queste malattie causano un lento peggioramento della vista e, nei casi più gravi, possono portare alla cecità. Di solito, i primi segnali compaiono prima dei 20 anni e includono difficoltà a vedere quando c’è poca luce (come al crepuscolo) e un restringimento del campo visivo, cioè si vede sempre meno ai lati, come se si guardasse attraverso un tunnel. In altre forme, invece, come ad esempio la malattia di Stargardt, la perdita della vista inizia dalla parte centrale del campo visivo. In alcuni casi la retinite pigmentosa non colpisce solo la vista: può essere accompagnata anche da altri problemi, come la sordità.
A giugno dello scorso anno a Napoli è stato trattato il primo caso al mondo di retinite pigmentosa alla Vanvitelli e dal Tigem. “Negli ultimi anni lo studio e l’interesse nei confronti delle patologie retiniche e profondamente cambiato – spiega Francesca Simonelli docente ordinario di Oculistica dell’Ateneo Vanvitelli di Napoli, direttrice del Centro di riferimento regionale per le Malattie oculari rare della Rete europea, che lavora in stretta collaborazione con Alberto Auricchio, ordinario di Genetica della Federico II e direttore del Tigem, Istituto Telethon di genetica e medicina – a seguito di nuove intuizioni e possibilità di cura. Sulle basi fisiopatologiche ed anche grazie all’introduzione di molteplici innovazioni nella diagnostica nella farmacoterapia e nella chirurgia vitreoretinica questi molteplici progressi hanno consentito la realizzazione di innovativi approcci per la gestione della malattia della retina. Basta pensare alla terapia genica per le distrofie retiniche ereditarie e all’introduzione di nuovi farmaci per la cura della degenerazione maculare senile atrofica patologie che fino a pochi anni fa erano considerate incurabili offrendo oggi nuove opportunità e speranze si di cura sia per gli oftalmologi e per i pazienti”. A giugno del 2024 a Napoli per la prima volta al mondo è stato effettuato l’innovativo trattamento, con terapia genica, della Sindrome di Usher, ad oggi una delle principali cause di sordo-cecità in età pediatrica e adulta. “Malattia che si manifesta con sordità alla nascita e successiva perdita progressiva della vista per la degenerazione retinica definita retinite pigmentosa”.