Personale che manca, programmazione fuori bersaglio, risorse inadeguate ai fabbisogni, modelli di cura obsoleti, innovazione e ricerca che viaggiano a fari spenti in attesa di una guida per stabilire a chi dare cosa. La sostenibilità del Servizio sanitario nazionale, rischia di smarrire la bussola dell’equità e dell’universalismo scritti nella Carta costituzionale è stato il tema al centro del dibattito promosso dalla Fondazione Muto in collaborazione con l’Università Federico II di Napoli nell’Aula magna del Centro congressi dell’ Ateneo in via Partenope.
Attorno al tavolo moderati dalla giornalista Margherita De Bac esperti, istituzioni, direttori generali e rappresentanti del mondo accademico, per individuare percorsi concreti verso un sistema sanitario più equo, efficiente e sostenibile.
Ad introdurre i lavori il Rettore della Federico II Matteo Lorito,
 Giuseppe Longo direttore generale dell’Azienda ospedaliera universitaria Federico II, Roberto Muto, presidente Fondazione Muto, Giovanni Esposito, presidente della Scuola di Medicina e Chirurgia dell’Università Federico II.
I modelli economici, innovazione e modelli organizzativi, il rapporto tra pubblico e privato i temi delle tre sessioni che hanno approfondito la crisi di sostenibilità e le prospettive di rilancio del Servizio sanitario nazionale, la sostenibilità dei farmaci ad alto costo e i criteri etici per l’accesso alle cure, l’Innovazione sanitaria ed economicamente sostenibile con Carlo Milli Chief Public Affairs di AB Medica.
A moderare questa sessione Antonio D’Amore e Gennaro Sosto rispettivamente direttore generale del Cardarelli e della Asl di Salerno. Fari puntati anche sulle sperequazioni di finanziamento regionale, sull’impatto delle disparità di finanziamento tra le diverse regioni italiane e le soluzioni per una distribuzione equa delle risorse. E poi, l’utilizzo dei big data per sviluppare modelli di prevenzione personalizzata e di gestione della salute pubblica, il loro impatto sulla sostenibilità del sistema sanitario, le opportunità e limiti nell’uso dell’intelligenza artificiale e delle grandi apparecchiature. Ma anche il ruolo del fattore umano. Seguitissima anche la sessione dedicata al rapporto tra pubblico e privato, un partenariato previsto sin dalla riforma sanitaria 502 del lontano 1992 ma che occorre rifondare per migliorare la qualità delle cure senza rinunciare alla ottimizzazione nell’uso delle risorse che ha previsto una puntuale analisi dei modelli di collaborazione tra il servizio sanitario nazionale e il settore privato come strategia per la sostenibilità esplorando nuovi modelli di collaborazione tra il sistema sanitario nazionale e i fondi assicurativi complementari.

“In un contesto nazionale segnato da crescenti difficoltà economiche, demografiche e organizzative – ha spiegato il presidente della Fondazione Roberto Muto – l’obiettivo è avviare un confronto a più voci per accendere i fari sul cantiere aperto della riforma necessaria del Servizio sanitario italiano riconosciuto tra i più inclusivi a livello globale ma che si trova oggi ad affrontare una “tempesta perfetta”. Invecchiamento demografico (24,1% over 65, con 4,5 milioni di ultraottantenni) e cronicità (40% della popolazione con almeno una patologia cronica), assorbono una buona parte della spesa sanitaria a fronte della carenza di personale medico (-1,4% medici di base/anno dal 2013) e disparità regionali (15,8% del personale sanitario over 60) e di un finanziamento pubblico al 6,3% del PIL (vs. 9,9% UE), ritenuto insufficiente (anche valutando la quota procapite) per innovazioni come farmaci genici o IA. 

Il futuro del servizio sanitario italiano dipende dalla capacità di sviluppare e implementare modelli sostenibili in grado di affrontare le attuali criticità. In particolare, la sostenibilità del SSN esige un cambiamento di paradigma: è necessario integrare dati demografici, innovazione tecnologica e modelli organizzativi flessibili, superando la frammentazione regionale e valorizzando il ruolo del territorio, il tutto armonizzato con il principio di equità. Senza una regia nazionale e investimenti mirati, nonché un nuovo rapporto pubblico-priva- to, il rischio è un collasso progressivo con conseguenze irreversibili su equità e qualità delle cure. La riorganizzazione delle cure territoriali (Missione 6 PNRR) e le partnership pubblico-privato emergono come leve strategiche, ma richiedono un bilanciamento tra equità, efficienza e sostenibilità. Questo congresso vede riuniti esperti di vari settori e nasce dalla necessità di riflettere sui modelli sanitari attuali e futuri, alla luce delle sfide economiche, organizzative e tecnologi- che che il settore sanitario sta affrontando a livello locale, nazionale e globale. L’obiettivo è esplorare possibili percorsi verso una sanità più sostenibile, efficiente e inclusiva, analizzando modelli economici, innovazioni tecnologiche e organizzative e il rapporto tra pubblico e privato. Ciò Attraverso un confronto multidisciplinare, il congresso vuole offrire spunti concreti per costruire un sistema sanitario che sia in grado di rispondere alle esigenze della popolazione, garantendo qualità, equità e sostenibilità nel lungo termine.

Dopo i saluti del Rettore della Federico II Matteo Lorito che ha puntato i fari sulla centrali della formazione dei camici bianchi con cui ripopolare le corsie di Asl e ospedali (medici, infermieri ma anche tecnici e altre figure di area sanitaria) e sopo l’introduzione di scenario affidata a Giuseppe Longo manager del policlinico Federico II e a Giovanni Esposito presidente della scuola di medicina del policlinico collinare, è stato Nino Cartabellotta in collegamento video a sciorinare dati e tabelle che certificano la grave malattia che affligge il servizio sanitario italiano, il più inclusivo ed equo (sulla carta) dell’area Ocse ma tra i meno finanziati in Europa posto davanti solo al Portogallo, Grecia e paesi dell’est posti in coda. Persistente sottofinanziamento, carenza di personale in alcune aree specialistiche critiche e in area infermieristica e tecnica, squilibri territoriali intollerabili tra nord e sud, i principali nodi da affrontare con una crescente spesa privata che configura sempre più un sistema sanitario misto. In questo scenario la Campania, come evidenziato dall’assessore al Bilancio Ettore Cinque è quello che, numeri alla mano, ha i maggiori scogli strutturali da superare e che dopo venti anni di tira e molla con le regioni solo nel 2022 è riuscita, dopo un ricorso al tar, a correggere solo in parte un criterio di riparto dei fondi nazionali per la Sanità che continua ad attribuire la più bassa quota per ciascun cittadino residente nella regione. Una penalizzazione che finiti i fondi del Pnrr (non impiegabili per il personale) sbarrerà la strada alla sostenibilità dell’innovazione in tecnologie, nuovi farmaci, ricerca.
Rispetto alla media delle dotazioni standard registrate a livello europeo, al nostro SSN mancano attualmente circa 70.000 infermieri e 20.000 medici (dati Eurostat) di cui 14 mila unità mancano all’appello in Campania in vari profili (per l’80 per cento infermieri e tecnici). Se poi si considerano anche i fabbisogni legati alle nuove strutture territoriali previste dal PNRR (Case e Ospedali di Comunità), ci vorrebbero ulteriori 20.000 infermieri (2 mila in Campania). Per evidenti errori di programmazione, il nostro sistema formativo non è in grado di sopperire nel breve a tale fabbisogno di personale. Ciò ha finito per acuire i divari territoriali già ampiamente preesistenti alla riforma del Titolo V della Costituzione.
“Soltanto a decorrere dal 2023 – ha detto Cinque – e solo a seguito di una battaglia anche giudiziaria intrapresa in perfetta solitudine dalla Regione Campania nei confronti del Ministero della Salute, sono stati introdotti, in aggiunta alla pesatura per età, anche i criteri del tasso di mortalità precoce e della deprivazione socio-economica, nonostante la normativa di riferimento imponesse un aggiornamento dei criteri già a partire dal 2015”.
Tale fenomeno è il principale responsabile delle diverse performance, sia quantitative che qualitative, che si registrano nei diversi sistemi sanitari regionali”.
Eppure la Campania dal 2013, con questi svantaggi ha conseguito il pareggio di bilancio e nell’ultima rilevazione raggiunto anche la sufficienza nei Livelli essenziali di assistenza. Parametri che non riescono però a descrivere le crescenti difficoltà di accesso della popolazione ai servizi e a monitorare la rinuncia alle cure delle classi sociali meno garantite che il Ssn dovrebbe tutelare. Per finanziare un piano straordinario di assunzioni per finalità perequative ci vorrebbero 4,5 miliardi a regime che non ci sono.
La minore dotazione in termini di risorse finanziarie e di risorse umane incide, inevitabilmente, anche nella diversa disponibilità di posti letto ospedalieri (sia pubblici sia privati accreditati) in rapporto agli abitanti pari in Campania a 3,47 posti letto per mille abitanti, tra i più bassi del Paese. Il grave e cronico squilibrio territoriale nella disponibilità dei fattori della produzione dei diversi sistemi sanitari regionali incide, inevitabilmente, sull’indicatore della speranza di vita alla nascita. Conseguenza inevitabile dei divari sopra evidenziati è, pure, la dinamica dei flussi di mobilità sanitaria tra le regioni. Dal 2008 al 2022 il valore della mobilità sanitaria, cioè delle prestazioni effettuate a residenti di regioni diverse da quelle che hanno erogato la prestazione è cresciuto del 20% (con la sola eccezione degli anni 2020 e 2021, che hanno registrato una riduzione a causa del Covid). In sostanza, è cresciuto alla stregua del fondo sanitario, il che significa che il fenomeno è strutturale e non episodico.
Che fare dunque? Nelle tre sessioni tematiche dedicate rispettivamente ai modelli economici, all’innovazione e ai modelli organizzativi, e al rapporto tra pubblico e privato e dell’accesso ai farmaci ad alto costo di cui ha parlato Carlo Milli, Chief Public Affairs di AB Medica, sono state analizzate le condizioni per rendere l’innovazione sostenibile. Giovanni Esposito, Presidente della Scuola di Medicina e Chirurgia, ha sottolineato il ruolo umano nell’impiego di intelligenza artificiale e grandi apparecchiature laddove l’innovazione tecnologica è solo una delle leve su cui agire. Come sottolineato anche dai manager Ciro Verdoliva (Asl Napoli2), Gennaro Sosto (Asl Salerno), Antonio D’Amore (Cardarelli) Anna Iervolino, (Azienda dei Colli) e da Secondo Amalfitano. La terza e ultima sessione è stata dedicata al rapporto tra pubblico e privato e ha messo a fuoco le potenzialità del partenariato come illustrato da Velia Maria Leone, avvocata esperta in diritto sanitario, da Enzo Paolini, vicepresidente di ACOP, e da Ivana Spataro, rappresentante di Aon Spa. In conclusione gli interventi di Pierino Di Silverio (coordinatore della rete trapianti e segretario nazionale Anaao), e Nino Postiglione direttore generale dell’assessorato che hanno preceduto le conclusioni di De Luca che ha ancora una volta rimarcato il “miracolo” conseguito nel governo della Salute conseguito dalla Campania che alle condizioni date e a fronte degli svantaggi strutturali (la minore dotazione di personale, posti letto e risorse assegnate) tra tutte le regioni è riuscita a riequilibrare i conti (in pareggio del 2013 come solo Veneto e Lombardia fanno oggi) e a riportare a galla i Livelli essenziali di assistenza.