Schillaci: Impegno per promuovere salute e sicurezza. Il governo mette nel piatto 650 milioni: ma gli ispettori tecnici della prevenzione nelle Asl sono meno del 50% del docuto
“La salute e la sicurezza dei lavoratori rappresenta un diritto e un pilastro imprescindibile per una società equa e responsabile. Per questo il Ministero della Salute è costantemente impegnato a promuovere e garantire la tutela della salute in ogni contesto lavorativo. La cultura della prevenzione deve essere parte integrante di ogni ambiente di lavoro, perché proteggere la salute di chi lavora significa costruire un futuro più giusto e sostenibile per tutti. In questa giornata, ringrazio in particolare i medici, gli infermieri e tutto il personale sanitario e sociosanitario che ogni giorno, compreso il 1° maggio, lavora con dedizione per prendersi cura della nostra salute. La loro sicurezza resta per me una priorità assoluta, con l’impegno di potenziare ulteriormente tutte le misure di tutela contro le aggressioni fisiche e verbali agli operatori sanitari”. Così il ministro della Salute Orazio Schillaci è intervenuto con una nota per sottolineare l’impegno del governo nel contrasto agli infortuni e alle morti sul lavoro.
I numeri
I numeri con cui fare i conti sono impietosi. Tre vittime al giorno. E dietro i numeri vite spezzate e storie di famiglie distrutte. Le chiamano morti bianche, ma sono listate a nero forse più di tutte le altre. Perché segnate da un drammatico paradosso: quando il lavoro che dovrebbe darti da vivere decide la tua condanna a morte. I sindacati parlano di bollettini di guerra e le cronache rimandano a tragedie che restano impresse nel tessuto sociale del Paese sui cantieri, nei campi, in mare, nelle fabbriche.
«Non si può morire così», le parole che Giorgia Meloni affida ad un video sui social, dove annuncia le misure che il governo si appresta ad adottare per tentare di fermare uno stillicidio quotidiano. provvedimento annunciato, però, è tutto da scrivere. In Consiglio dei ministri la premier ha per ora annunciato la cifra: «650 milioni di euro» reperiti dal tesoretto dell’Inail, che si aggiungono ai 600 milioni già disponibili dai bandi dell’Istituto nazionale per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro per cofinanziare gli investimenti delle imprese per migliorare la salute e la sicurezza dei lavoratori. In tutto «oltre 1 miliardo e 200 milioni», fa di conto la presidente del Consiglio ma prima di decidere come impiegare le risorse incontrerà le parti sociali l’8 maggio. «Il nostro auspicio – avverte – è che si possa dar vita a un’alleanza tra istituzioni, sindacati, associazioni datoriali per mettere la sicurezza sul lavoro in cima alle priorità dell’Italia». «Vogliamo potenziare il sistema di incentivi e disincentivi per le imprese, in base, chiaramente, alla loro condotta in materia di sicurezza». Premiando le aziende virtuose e mettendo all’angolo le “cattive maestre”, «con particolare attenzione al mondo agricolo», tra i comparti che registrano il più alto numero di vittime e infortuni, teatro dell’odioso fenomeno del caporalato.
Per le imprese che investono sulla sicurezza dei lavoratori, «potrebbe esserci uno sconto sulla contribuzione Inail», ipotizza in conferenza stampa la ministra Marina Calderone. La sfida si gioca sul terreno cdella prevenzione, « il migliore degli investimenti possibili» conferma Meloni che annuncia anche più risorse sulla «formazione dei lavoratori».
Lo scenario
Intanto inumeri provvisori dell’Inail del 2025 fanno tremare le vene ai polsi: evidenziano un aumento delle denunce di infortunio mortale rispetto allo stesso periodo nel 2024 in Italia. Nei primi due mesi di quest’anno l’aumento è stato del 16% ovvero 138 vittime, contro le 119 di gennaio-febbraio 2024 (ivi incluso quelli in itinere). Nel 2024 gli infortuni mortali sul lavoro sono stati 1.090, il 4,7% in più del 2023. Un focus sulla situazione mondiale attuale in materia di sicurezza sul lavoro lo si fa richiamando un rapporto dell’ILO (Organizzazione Internazionale del Lavoro):
• 2,02 milioni di persone muoiono ogni anno per malattie professionali;
• 321 mila persone muoiono ogni anno per incidenti sul lavoro;
• 160 milioni di casi l’anno di malattie professionali non mortali;
• 317 milioni di incidenti sul lavoro l’anno non mortali.
Ciò significa che:
• ogni 15 secondi, un lavoratore muore per una malattia professionale o un incidente sul lavoro;
• ogni 15 secondi, 151 lavoratori sono vittime di un incidente sul lavoro.
A tale proposito il nostro Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha lanciato numerosi moniti, l’ultimo quello del 29 aprile scorso (successivo alla giornata mondiale della salute e sicurezza sul lavoro) che ribadisce un concetto semplice ed inequivocabile sulla questione: “E’ intollerabile l’ indifferenza per le morti sul lavoro, una piaga che non accenna ad arrestarsi e che, nel nostro Paese ha già mietuto, in questi primi mesi, centinaia di vite, con altrettante famiglie consegnate alla disperazione. Non sono tollerabili né indifferenza né rassegnazione”.
Nella società contemporanea non è più accettabile che i lavoratori per guadagnarsi da vivere corrano il rischio di ammalarsi, senza dimenticare che le malattie professionali rappresentano un peso enorme per famiglie e spesa pubblica, un peso che può essere evitato con l’elaborazione di strumenti di prevenzione efficaci per tutti. La prevenzione è meno costosa rispetto alle cure e alla riabilitazione.
Le malattie professionali e gli infortuni sul lavoro per la collettività comportano costi molto elevati. Su scala mondiale il costo è di 2 680 miliardi di EUR (3,9 % del PIL mondiale) mentre su scala europea in termini percentuali il costo è inferiore ed ammonta a 476 miliardi di EUR (3,3 % del PIL europeo).
Secondo l’Associazione internazionale di sicurezza sociale (ISSA) – a cui aderiscono INAIL e INPS – per ogni euro investito in prevenzione si genera un risparmio di almeno tre euro in spesa sanitarie e sociale. “Prevenire non è un costo, ma un dovere, un atto di civiltà, nei confronti di chi lavora, di chi produce e per l’intera popolazione.
“Bisogna adoperarsi per la creazione di un «nuovo paradigma di prevenzione che comprenda un’azione completa e coerente diretta in modo specifico contro le malattie professionali, e non solo contro gli infortuni» dicono dall’Ordine delle 18 professioni sanitarie che compre i tecnici della prevenzione. “Un paradigma che prevede una compartecipazione sinergica tra istituzioni, datori di lavoro, lavoratori, steakeholders ed organi di vigilanza, in particolare per quest’ultimi la normativa dovrebbe consentire di svolgere più attività di audit, progetti di promozione sul territorio mediante il coinvolgimento attivo di tutti gli attori del sistema sicurezza, anziché svolgere attività di mera repressione intervenendo solo dopo l’evento infortunistico con il solo fine di ricerca a chi imputare le responsabilità”. Così Diego Catania presidente della Federazione nazionale degli Ordini Tsrm Pstrp dei tecnici sanitari di Radiologia medica e delle professioni sanitarie tecniche della riabilitazione e prevenzione e che, tra 18 professioni accoglie anche quella dei Tpaal, Tecnici della prevenzione sui luoghi e negli ambienti di lavoro. “Parliamo del professionista sanitario a cui, per antonomasia, spetta tale, delicato compito – aggiunge Franco Ascolese, presidente dell’Ordine interprovinciale di Napoli, Avellino, Benevento e Caserta – è senza dubbio il Tecnico della prevenzione nell’ambiente e nei luoghi di Lavoro figura professionale istituita con il DM 58/97 dotata di skills tripartite tra competenze strettamente tecniche, conoscenza applicata di norme giuridiche, procedure e protocolli, e capacità educativo – relazionali, che mediante l’attuazione di interventi di prevenzione primaria, opera nei campi più disparati: dall’ambiente all’igiene degli alimenti, dalla salute pubblica alla salute e sicurezza nei luoghi lavoro”.
In tutta Italia ci sono poco più di duemila Tecnici della prevenzione (Tpall) che si occupano della funzione ispettiva. Per la precisione, sono circa 2.108. Il che significa che ce n’è solo uno ogni 28mila persone. Se invece guardiamo alle imprese, parliamo di un tecnico ogni 1.500 aziende. E in termini di lavoratori, uno solo per quasi 11.800mila.
Si stima che per completare una sola visita a tutte le imprese, in alcune regioni di Italia, potrebbero servire oltre quindici anni. Cifre che evidenziano il divario anche rispetto agli standard europei, che prevedono almeno un tecnico ogni 10 mila abitanti.
I servizi di vigilanza preposti alla sicurezza sul lavoro dei Dipartimenti di Prevenzione delle ASL oltre a lavorare sott’organico operano attualmente nel nostro Paese in un sistema eccessivamente frammentato i cui Organi costituenti sono le Asl, l’Ispettorato Nazionale del Lavoro con (ITL), il Comando Carabinieri Tutela del Lavoro, i Vigili del Fuoco, (limitatamente alle proprie competenze), la guardia di finanza (limitatamente all’aspetto fiscale, contabile delle società e sugli appalti), Arpa, Capitanerie. Tra questi organi di Vigilanza nel sistema attuale non esiste un concreto coordinamento nelle attività ispettive, non c’è condivisione di banche dati sulla sicurezza sul lavoro, manca uja unitarietà di intenti per potenziare gli storici organici delle Asl con i Tecnici della prevenzione nell’ambiente e nei luoghi di lavoro figura a ciò deputata “ope legis”, avendo acquisito una formazione specifica universitaria. Vige l’obbligo di iscrizione ad apposito albo professionale che garantisca lo svolgimento del ruolo istituzionale nell’interesse della collettività.
Nuove Sfide
Per arginare l’escalation delle morti sul lavoro e l’insorgenza delle malattie professionali si ritiene dunque fondamentale perseguire i seguenti obiettivi:
- migliorare la cultura
- promuovere la prevenzione
- garantire l’applicazione delle norme
- puntare sull’innovazione tecnologica.
Migliorare la cultura della sicurezza sul lavoro: è necessario diffondere una cultura della sicurezza che coinvolga tutti i soggetti coinvolti, dai lavoratori alle imprese, dalle istituzioni alle associazioni.
Promuovere la prevenzione: la prevenzione è la strategia più efficace per ridurre il numero di infortuni e malattie professionali. È necessario investire in formazione, informazione e controlli, a partire dal datore di lavoro. I piani di prevenzione prima citati nell’evento sportivo promosso ne sono un esempio. Questo perché la sola vigilanza non basta, è l’acquisizione della consapevolezza della una cultura della prevenzione, non si improvvisa e non si impone: si costruisce con competenze scientifiche, presenza sul territorio e relazioni umane. È un’attività sanitaria a tutti gli effetti, e come tale va riconosciuta.
Garantire l’applicazione delle norme: è necessario rafforzare i controlli e le sanzioni per garantire l’applicazione delle norme in materia di salute e sicurezza sul lavoro. Su tale aspetto se si desidera davvero cambiare rotta, serve un piano concreto di riconoscimento e potenziamento della nostra professione”, costituire un coordinamento nazionale e regionale tra tutti gli enti coinvolti, al fine di condividere i dati rilevati e le agende ispettive, per arginare la eccessiva frammentazione de sistema controlli vigente in Italia, che generano confusione oltre che tali interventi risultano essere non efficienti ne appropriati, infine necessita puntare sul miglioramento della qualità dei sopralluoghi nei cantieri, e nei settori lavorativi maggiormente a rischio puntando sull’acquisizione di maggiori conoscenze per gli operatori della prevenzione, investendo maggiori risorse su formazione specialistica al fine di poter diventare expertise di taluni settori lavorativi maggiormente a rischio.
Contestualmente mettere in campo le iniziative necessarie per favorire l’emersione delle malattie professionali ancora non rilevate e le attività di prevenzione e di sorveglianza sanitaria, anche attraverso il coinvolgimento dei medici generici e di base, e a favorire uno snellimento delle procedure di riconoscimento e di indennizzo da parte dell’Inail, soprattutto per le patologie ‘non tabellate’;
Innovazione tecnologica: può contribuire in modo significativo alla prevenzione degli incidenti sul lavoro. Le nuove tecnologie possono essere utilizzate per sviluppare strumenti e metodi innovativi per la valutazione dei rischi. Anche se la tecnologia non potrà mai superare l’umano, può esserne al servizio. L’IA e il Metaverso in termini di realtà aumentata sono strumenti che da sempre promuovo come strumenti facilitatori di soluzioni per sviluppare sicurezza sul lavoro risolutiva e rispondente ai cambiamenti contemporanei.
Le nuove tecnologie possono essere utilizzate per sviluppare strumenti e servizi per la promozione della prevenzione. Il Metaverso può simulare intere realtà e strumenti che possono essere pre-vissuti senza pericolo per il lavoratore.
Rendere i luoghi di lavoro più sicuri: le nuove tecnologie possono essere utilizzate per sviluppare sistemi e dispositivi per rendere i luoghi di lavoro più sicuri. Strumenti di rilevazione o di identificazione oggi potrebbero evitare molti degli incidenti che le cronache ci raccontano, basterebbe solo incentivarne l’uso. La nuova generazione, più digital-friendly sicuramente saprà implementare questo contesto.
In sintesi, alcuni esempi strutturati di come l’innovazione tecnologica può contribuire alla prevenzione degli incidenti sul lavoro sono:
L’utilizzo di droni per la sorveglianza dei luoghi di lavoro: i droni possono essere utilizzati per monitorare i luoghi di lavoro e rilevare situazioni di pericolo.
L’utilizzo di sensori per il rilevamento dei rischi: i sensori possono essere utilizzati per rilevare la presenza di rischi, come la presenza di gas tossici o la vicinanza a linee elettriche.
Sistemi cibernetici collaborativi”, i nuovi dispositivi robotici indossabili (Esoscheletri) che possono mitigare i fattori di rischio da sovraccarico biomeccanico in ambito industriale, manifatturiero, logistico e delle costruzioni civili, diminuendo fino al 40% lo sforzo fisico di operatori e operatrici.
L’utilizzo di realtà virtuale e aumentata per la formazione alla sicurezza: la realtà virtuale e aumentata possono essere utilizzate per creare ambienti di formazione realistici e coinvolgenti.
Insomma, un panorama del sistema sicurezza oggetto di una vera metamorfosi kafkiana, che rappresenta una vera sfida e che per poterla realizzare appieno necessita che i policy maker e le istituzioni deputate puntino fermamente ed in modo convinto sulla reale valorizzazione della figura del Tecnico della prevenzione nell’ambiente e nei luoghi di lavoro riconosciuta expertise “ope legis” in materia di vigilanza e controllo sulla sicurezza sul lavoro, dotata di ampie capacità di adattamento, in funzione di un ruolo istituzionale che ha per compito quello di fare seguire le regole in materia di sicurezza, fungere da “arbitro” tra la preservazione della Salute quale fondamentale diritto dell’individuo e il diritto al perseguimento dell’iniziativa economica, purché non si svolga in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana.
Tale sfida tuttavia sarà superabile solo grazie all’azione coordinata e sinergica delle varie istituzioni coinvolte: a partire dalle Università per gli aspetti formativi per i nuovi professionisti, che siano il più aderenti ai contesti lavorativi del momento, sino ad arrivare agli Ordini Professionali, per i quali è necessaria una stretta collaborazione con Ministeri, Regioni ed altri stakeholders. Solo così sarà possibile vincere la lotta alle malattie professionali e agli infortuni sul lavoro e contestualmente favorire uno sviluppo economico sano e virtuoso, motore di una nazione che all’articolo 1 della propria Carta Costituzionale si definisce fondata sul lavoro.