Il focus dei pediatri nella Giornata mondiale per i diritti dell’infanzia e dell’adolescenza; Staiano: il prezzo più alto lo pagheranno i bambini. Alcuni nell’immediato, con la propria vita; altri, più a lungo termine, con un futuro segnato dai traumi e dal ricordo indelebile di violenza e devastazione”
 

Roma, 20 novembre 2023 Nella Giornata mondiale per i diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, che ricorre oggi 20 novembre, il pensiero dei pediatri va ai bambini vittime della guerra, specie quelli dell’ultimo conflitto in ordine di tempo, quello israelo-palestinese. Sono oltre 5mila i bambini innocenti che hanno perso la vita in circa un mese e mezzo di conflitto, da quel 7 ottobre 2023 che ha segnato l’inizio del conflitto tra israeliani e palestinesi, a seguito dell’attacco del gruppo terroristico palestinese di Hamas.
 
“Le ragioni alla base del conflitto israelo-palestinese sono estremamente intricate e lo scopo non è quello di prendere una posizione politica a favore degli uni o degli altri- spiega la Presidente della Società Italiana di Pediatria, Sip, la professoressa Annamaria Staiano-. In questa storia esiste una sola certezza: come in tutte le guerre, il prezzo più alto lo pagheranno sempre i bambini. Alcuni lo pagheranno nell’immediato, con la propria vita; altri, più a lungo termine, con un futuro segnato dai traumi e dal ricordo indelebile di violenza e devastazione”. 
 
“Come medici, abbiamo il dovere di sostenere i diritti di tutti gli esseri umani. Come pediatri, abbiamo il dovere di sostenere i diritti di tutti i bambini: sia quelli provenienti dalla Palestina, che da Israele”.  Ci uniamo simbolicamente all’appello delle “guerriere della pace”, le madri israeliane e palestinesi che, insieme, hanno marciato per dire basta all’uccisione dei propri figli.
 
Le ferite apparentemente invisibili ma profonde, quelle delle psiche 
 
“Indipendentemente dalle caratteristiche specifiche di una determinata guerra o atto di terrore- specifica il professor  Pietro Ferrara, Responsabile del Gruppo di Studio per i diritti del bambino della Sip – tali situazioni determinano distruzione, dolore e morte che influenzano lo sviluppo psicosociale dei bambini e le loro aspettative sulla vita futura”. Ferrara e il suo gruppo di lavoro hanno realizzato una revisione della letteratura scientifica relativa alle conseguenze di guerre e traumi sui bambini. 
Dalla revisione emerge che un bambino catapultato in una situazione di guerra e violenza perde opportunità: in primis, viene meno la possibilità dell’istruzione in quanto è costretto a spostarsi in campi di rifugio trascorrendo diverso tempo in circostanze di miseria e insicurezza, con l’impossibilità di proseguire un percorso scolastico di istruzione e di crescita personale stabile; viene meno l’opportunità di creare e mantenere una vita sociale. La situazione è ancora più complessa nei bambini con disabilità, cognitiva o fisica, per cui viene meno la possibilità di essere gestiti adeguatamente.
Tra i rischi a breve termine, c’è il rischio di morire, di ferirsi, di acquisire una disabilità, di ammalarsi, di essere soggetto a tortura, rapimento o violenza sessuale. La sofferenza psicologica che si genera, a lungo termine, può perdurare nel PTSD, disordine da stress post-traumatico. Le perdite, l’interruzione della propria vita causano tassi elevati di depressione e ansia nei bambini colpiti dalla guerra. Tra gli eventi traumatici che possono accadere nella vita di un bambino, bisogna menzionare anche la perdita di un genitore, con effetti a breve e lungo termine sullo stato di salute.
 
Gli effetti indiretti del trauma
 
Soffrono anche i bambini che la guerra la vedono dalle immagini in tv. Mentre nel passato l’esperienza del trauma ricadeva esclusivamente sul diretto interessato, con l’avvento delle nuove tecnologie comunicative, si ripercuote anche su chi non ne è interessato in prima persona e assiste passivamente dalla sua “sicura” dimora. È rilevante l’impatto che immagini e notizie di violenza possono avere su individui così fragili e vulnerabili, che non hanno abilità ed esperienza utili a gestire informazioni difficili. I bambini hanno difficoltà a verbalizzare le loro emozioni, esprimendole in genere attraverso irrequietezza, agitazione, scoppi di rabbia, paura del buio, problemi di sonno, incubi e paura dell’abbandono. Possono anche riferire sintomi fisici come mal di testa o disturbi gastrointestinali.  I bambini- ricordano i pediatri – si affidano ai caregiver per affrontare gli eventi stressanti, hanno bisogno di essere rassicurati e di ricevere spiegazioni plausibili per accogliere eventi spiacevoli e insoliti.
La resilienza può essere insegnata? Sicuramente non è un comportamento ereditato, potrebbe quindi essere correlato a fattori individuali, come la presenza di almeno una relazione stabile con un parente o un caregiver, capace di dare supporto. 
“Per gestire al meglio la situazione di precaria stabilità che i bambini si trovano ad affrontare c’è bisogno di un lavoro di team che coinvolga anche il pediatra -conclude Ferrara-. I pediatri devono essere consapevoli dell’importanza del ruolo che possono giocare nel prevenire un danno e nell’individuare segni e sintomi iniziali di distress causato da immagini negative. Inoltre, dovrebbero anche svolgere un ruolo chiave nella formazione della resilienza dei loro piccoli pazienti, sensibilizzando le famiglie sull’importanza di relazioni intra-familiari positive e di un ambiente favorevole”.