NADEF 2023: SANITÀ PUBBLICA VERSO IL BARATRO.
CROLLA IL RAPPORTO SPESA SANITARIA/PIL:
DAL 6,6% NEL 2023, AL 6,2% NEL 2024, AL 6,1% NEL 2026.
NEL TRIENNIO 2024-2026 LA SPESA SANITARIA AUMENTA SOLO DELL’1,1%

3 ottobre 2023 – Fondazione GIMBE, Bologna

Nella Nota di aggiornamento del Documento di Economia e Finanza (NaDEF) 2023, deliberata il 27 settembre 2023 e resa pubblica il 30 settembre, relativamente alla sanità, si legge che “La Legge di Bilancio 2024 prevederà, per il triennio 2024-2026, stanziamenti da destinare al personale del sistema sanitario”. Inoltre, il Governo dichiara collegati alla decisione di bilancio due disegni di legge: il primo in materia di riorganizzazione e potenziamento dell’assistenza territoriale nel SSN e dell’assistenza ospedaliera; il secondo in materia di riordino delle professioni sanitarie e degli enti vigilati dal Ministero della Salute.

«Alla vigilia della discussione della Legge di Bilancio 2024 – afferma Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – la Fondazione GIMBE ha effettuato un’analisi indipendente della NaDEF 2023 relativamente alla spesa sanitaria, sia per verificare la coerenza tra dichiarazioni programmatiche e stime tendenziali, sia per informare confronto politico e dibattito pubblico in vista della discussione sulla Manovra».

Analisi NaDEF 2023. In dettaglio, analizzando i vari periodi (tabella 1):

  • Previsionale 2023. Rispetto al 2022, la spesa sanitaria aumenta del 2,8%, in termini assoluti di € 3.631 milioni, ma si riduce dal 6,7% al 6,6% in termini di percentuale di PIL.
  • Previsionale 2024-2026. A fronte di una crescita media annua del PIL nominale del 3,5%, la NaDEF 2023 stima la crescita media della spesa sanitaria all’1,1%. Il rapporto spesa sanitaria/PIL precipita dal 6,6% del 2023 al 6,2% nel 2024 e nel 2025, e poi ancora al 6,1% nel 2026. Rispetto al 2023, in termini assoluti la spesa sanitaria nel 2024 scende a € 132.946 milioni (-1,3%), per poi risalire nel 2025 a € 136.701 milioni (+2,8%) e a € 138.972 milioni (+1,7%) nel 2026. «È del tutto evidente – commenta Cartabellotta – che l’irrisorio aumento della spesa sanitaria di € 4.238 milioni (+1,1%) nel triennio 2024-2026 non basterà a coprire nemmeno l’aumento dei prezzi, sia per l’erosione dovuta all’inflazione, sia perché l’indice dei prezzi del settore sanitario è superiore all’indice generale di quelli al consumo». In altri termini, le stime previsionali della NaDEF 2023 sulla spesa sanitaria 2024-2026 non lasciano affatto intravedere investimenti da destinare al personale sanitario, ma certificano piuttosto evidenti segnali di definanziamento. In particolare il 2024, lungi dall’essere l’anno del rilancio, segna un preoccupante -1,3%.

Confronto NaDEF 2023 vs DEF 2023. Relativamente al periodo 2023-2026, rispetto alle stime del DEF 2023, in quelle della NaDEF 2023, la spesa sanitaria in termini assoluti aumenta di soli € 1.140 milioni (+0,4%) e in termini di percentuale del PIL si riduce dello 0,3% (tabella 2). In dettaglio:

  • Nel 2023 la spesa sanitaria si riduce di:
    • 0,1% in termini di percentuale del PIL
    • € 1.309 milioni (€ 134.734 milioni vs € 136.043) in termini assoluti
    • 1% in termini di variazione percentuale
  • Nel triennio 2024-2026 la spesa sanitaria:
    • si riduce complessivamente dello 0,2% in termini di percentuale di PIL
    • aumenta di € 2.449 milioni (in media € 816 milioni/anno) in termini assoluti
    • aumenta di 1,4 punti percentuali (in media di 0,47 per anno) in termini di variazione percentuale

Complessivamente le stime della NaDEF 2023 confermano che la sanità rimane la “cenerentola” dell’agenda politica per varie ragioni. Innanzitutto, il rapporto spesa sanitaria/PIL del 6,7% del 2022 scende al 6,6% nel 2023 e continuerà a calare negli anni successivi, sino a raggiungere il 6,1% nel 2026, un valore inferiore a quello pre-pandemico del 2019 (6,4%); in secondo luogo, nel triennio 2024-2026 la NaDEF stima una crescita media annua del PIL nominale del 3,5%, a fronte dell’1,1% di quella della spesa sanitaria, ovvero un investimento che impegna meno di 1/3 della crescita attesa del PIL; infine, nonostante le dichiarazioni programmatiche sugli stanziamenti 2024-2026 da destinare al personale del SSN, la NaDEF 2023 non fa alcun cenno alla graduale abolizione del tetto di spesa per il personale sanitario, priorità assoluta per rilanciare le politiche del capitale umano. «I numeri della NaDEF 2023 – chiosa Cartabellotta – certificano che, in linea con i Governi degli ultimi 15 anni, la sanità pubblica non rappresenta affatto una priorità politica neppure per l’attuale Esecutivo».

«Se a parole la NaDEF 2023 afferma l’intenzione di stanziare risorse per il rilancio del personale sanitario nel prossimo triennio – conclude Cartabellotta – i numeri non lasciano intravedere affatto i fondi necessari, ma viceversa documentano segnali di definanziamento della sanità pubblica ancor più evidenti di quelli del DEF 2023, le cui stime previsionali sulla spesa sanitaria sono state riviste al ribasso. Oggi la grave crisi di sostenibilità del SSN non garantisce più alla popolazione equità di accesso alle prestazioni sanitarie con pesanti conseguenze sulla salute delle persone e sull’aumento della spesa privata. A fronte di questo scenario, le stime NaDEF 2023 spingono la sanità pubblica sull’orlo del baratro, confermando che il rilancio del SSN non rappresenta una priorità politica nell’allocazione delle, pur limitate, risorse. Scivolando, lentamente ma inesorabilmente, da un Servizio Sanitario Nazionale basato sulla tutela di un diritto costituzionale, a 21 sistemi sanitari regionali basati sulle regole del libero mercato. E, ignorando, rispetto ad altri paesi, che lo stato di salute e benessere della popolazione condiziona la crescita del PIL: perché chi è malato non produce, non consuma e, spesso, limita anche l’attività lavorativa dei propri familiari».
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19 settembre 2023
Coronavirus: l’infezione corre di nuovo e colpisce fragili e over 80. In 4 settimane salgono i contagi (da 5.889 a 30.777) e i ricoveri in area medica sono più che triplicati (da 697 a 2.378). Necessario avviare subito la campagna vaccinale per prevenire il sovraccarico delle strutture sanitarie. Il vero rischio è la tenuta della sanità pubblica, oggi profondamente indebolita

Dopo circa due mesi di sostanziale stabilità del numero dei nuovi casi settimanali – che tra metà giugno e metà agosto hanno oscillato tra 3.446 (6-12 luglio) e 6.188 (3-9 agosto) – da 4 settimane consecutive si rileva una progressiva ripresa della circolazione virale. Infatti, dalla settimana 10-16 agosto a quella 7-13 settembre il numero dei nuovi casi settimanali è aumentato da 5.889 a 30.777, il tasso di positività dei tamponi dal 6,4% al 14,9% (figura 1), la media mobile a 7 giorni da 841 casi/die è salita a 4.397 casi/die (figura 2), l’incidenza da 6 casi per 100 mila abitanti (settimana 6-12 luglio) ha raggiunto 52 casi per 100 mila abitanti. «Numeri sì bassi – commenta Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – ma anche ampiamente sottostimati rispetto al reale impatto della circolazione virale perché il sistema di monitoraggio, in particolare dopo l’abrogazione dell’obbligo di isolamento per i soggetti positivi con il DL 105/2023, di fatto poggia in larga misura su base volontaria. Infatti, da un lato la prescrizione di tamponi nelle persone con sintomi respiratori è ormai residuale (undertesting), dall’altro con l’ampio uso dei test antigenici fai-da-te la positività viene comunicata solo occasionalmente ai servizi epidemiologici (underreporting)».

Analizzando più in dettaglio, nelle ultime 4 settimane la circolazione virale risulta aumentata in tutte le Regioni e Province autonome: nella settimana 7-13 settembre l’incidenza dei nuovi casi per 100 mila abitanti oscilla dai 14 Basilicata agli 83 del Veneto (tabella 1) (non considerando il dato anomalo della Sicilia, dove nelle ultime 3 settimane viene riportata una incidenza di 3-4 casi per 100 mila abitanti). Secondo l’ultimo Aggiornamento nazionale dei dati della Sorveglianza Integrata COVID-19 dell’Istituto Superiore di Sanità, rispetto alla distribuzione per fasce di età, fatta eccezione per la fascia 0-9 anni in cui si registrano 22 casi per 100 mila abitanti, l’incidenza aumenta progressivamente con le decadi: da 10 casi per 100 mila abitanti nella fascia 10-19 anni a 78 per 100 mila abitanti nella fascia 70-89 anni, fino a 83 per 100 mila abitanti negli over 90. «Una distribuzione – spiega il Presidente – che riflette la maggiore attitudine al testing con l’aumentare dell’età, confermando i fattori di sottostima della circolazione virale».

Varianti. Le varianti circolanti appartengono tutte alla “famiglia” Omicron. Nell’ultimo report dell’European Centre for Disease Prevention and Control (ECDC) del 7 settembre 2023 non vengono segnalate “varianti di preoccupazione”, ma solo “varianti di interesse”.  In Italia, l’ultima indagine rapida dell’ISS, effettuata su campioni notificati dal 21 al 27 agosto 2023, riporta come prevalente (41,9%) la variante EG.5 (cd. Eris), in rapido aumento in Europa, Stati Uniti e Asia. «Le evidenze disponibili – spiega il Presidente – dimostrano che Eris ha una maggior capacità evasiva alla risposta immunitaria, da vaccinazione o infezione naturale, che ne favorisce la rapida diffusione. Sul maggior rischio di malattia grave di Eris ad oggi non ci sono studi». La prossima indagine rapida dell’ISS, secondo quanto indicato dalla circolare del 15 settembre 2023, sarà effettuata su campioni raccolti nella settimana 18-24 settembre.

Reinfezioni. Secondo l’Istituto Superiore di Sanità, la percentuale di infezioni riportate in soggetti con almeno un’infezione pregressa (reinfezioni) è lievemente aumentata nelle ultime settimane, per poi stabilizzarsi intorno al 39%.

Ospedalizzazioni. In area medica, dopo aver raggiunto il minimo (697) il 16 luglio, i posti letto occupati in area medica sono più che triplicati (2.378), mentre in terapia intensiva dal minimo (18) del 21 luglio sono saliti a quota 76 (figura 3). Rispettivamente i tassi nazionali di occupazione sono del 3,8% e dello 0,9% (tabella 1). «Se in terapia intensiva – spiega il Presidente – i numeri sono veramente esigui dimostrando che oggi l’infezione da Sars-CoV-2 solo raramente determina quadri severi, l’incremento dei posti letto occupati in area medica conferma che nelle persone anziane, fragili e con patologie multiple può aggravare lo stato di salute richiedendo ospedalizzazione e/o peggiorando la prognosi delle malattie concomitanti». Infatti, il tasso di ospedalizzazione in area medica cresce con l’aumentare dell’età: in particolare, passa da 17 per milione di abitanti nella fascia 60-69 anni a 37 per milione di abitanti nella fascia 70-79 anni, a 97 per milione di abitanti nella fascia 80-89 anni e a 145 per milione di abitanti negli over 90.

Decessi. Sono più che raddoppiati nelle ultime 4 settimane: da 44 nella settimana 17-23 agosto a 99 nella settimana 7-13 settembre (figura 4). Secondo i dati dell’Istituto Superiore di Sanità, i decessi risultano quasi esclusivamente a carico degli over 80, con 28 decessi per milione di abitanti su 31 decessi per milione di abitanti in tutte le fasce di età.

Campagna vaccinale. Il 1° settembre 2023 è stato interrotto l’aggiornamento della dashboard sulla campagna vaccinale. Di conseguenza, non è possibile riportare aggiornamenti periodici, ma solo rilevare che di fatto la somministrazione dei vaccini è sostanzialmente residuale, sia come ciclo primario sia come richiami (figura 5).

Le indicazioni preliminari per la campagna di vaccinazione anti-COVID-19 2023-2024 sono contenute nella Circolare del Ministero della Salute del 14 agosto. «In dettaglio – spiega Cartabellotta – viene raccomandato un richiamo annuale con la formulazione aggiornata monovalente XBB 1.5, già approvata da EMA. La somministrazione dovrà essere effettuata a distanza di almeno 3 mesi dall’ultimo richiamo (indipendentemente dal numero di richiami effettuati) o dall’ultima infezione diagnosticata». L’obiettivo è quello di prevenire la mortalità, le ospedalizzazioni e le forme gravi di COVID-19 nelle persone anziane e con elevata fragilità, oltre a proteggere le donne in gravidanza e gli operatori sanitari. In dettaglio, le categorie a cui è raccomandato il richiamo sono:

  • Persone di età pari o superiore a 60 anni
  • Ospiti delle strutture per lungodegenti
  • Donne gravide e nel periodo post-partum, incluse le donne che allattano
  • Operatori sanitari e sociosanitari addetti all’assistenza negli ospedali, nel territorio e nelle strutture di lungodegenza; studenti di medicina, delle professioni sanitarie che effettuano tirocini in strutture assistenziali e tutto il personale sanitario e sociosanitario in formazione
  • Persone dai 6 mesi ai 59 anni di età, con elevata fragilità, in quanto affette da patologie o con condizioni che aumentano il rischio di COVID-19 grave identificate dalla circolare

La vaccinazione viene inoltre consigliata a familiari e conviventi di persone con gravi fragilità.

Se la Circolare del 14 agosto prevedeva di iniziare la campagna vaccinale anti-COVID-19 in concomitanza con quella antinfluenzale, ieri il Ministro Schillaci ha invitato le Regioni a iniziare per le categorie più a rischio la campagna vaccinale a fine settembre.

«Pur condividendo la linea di raccomandare il richiamo alle persone a rischio, alle donne in gravidanza e agli operatori sanitari – commenta il Presidente – vanno rilevate tre criticità da tenere in considerazione per l’eventuale aggiornamento delle raccomandazioni. Innanzitutto, la circolare non menziona la possibilità di effettuare il richiamo su base volontaria per le categorie non a rischio; in secondo luogo le raccomandazioni non hanno tra gli obiettivi la prevenzione del long-COVID, il cui impatto sanitario e sociale inizia ad essere ben evidente nei paesi che, a differenza del nostro, lo stanno valutando in maniera sistematica; infine, le tempistiche programmate dalla circolare – per l’attesa del vaccino aggiornato e l’allineamento con la campagna anti-influenzale – sono troppo lunghe. Infatti, la progressiva ripresa della circolazione virale a partire da fine agosto e la certezza che quasi tutti gli over 80 e i fragili non hanno effettuato alcun richiamo negli ultimi tre mesi, stanno già avendo un impatto sulla loro salute». Infatti, dal 2 giugno al 31 agosto (ultimo dato disponibile) agli over 80 sono state somministrate 827 quarte dosi e 2.156 quinte dosi: è evidente l’urgenza di avviare quanto prima la campagna vaccinale per questa fascia di età e più in generale per i fragili.

«I dati – conclude Cartabellotta – confermano nel nostro Paese una progressiva ripresa della circolazione virale, peraltro largamente sottostimata, dovuta a fattori concomitanti: emergenza di una variante immunoevasiva, progressiva riduzione dell’immunità da vaccino o da infezione naturale e sostanziale assenza di misure di protezione individuale. D’altra parte i dati su ospedalizzazioni in area medica e i decessi confermano che la malattia grave colpisce prevalentemente fasce di età avanzate della popolazione, oltre che soggetti fragili, ai quali è già indirizzata prioritariamente la campagna vaccinale 2023-2024. Alla luce del quadro epidemiologico, della percentuale di reinfezioni, dell’efficacia dei vaccini sulla malattia grave e delle rilevanti criticità che condizionano l’erogazione dei servizi sanitari, in particolare per la grave carenza di personale, la Fondazione GIMBE ritiene fondamentale prevenire ogni forma di sovraccarico da COVID nelle strutture sanitarie territoriali e ospedaliere. In tal senso, invita le Istituzioni a mettere in atto tutte le azioni necessarie per proteggere anziani e fragili, incluso fornire raccomandazioni per gli operatori sanitari positivi asintomatici, oltre a rimettere in campo – se necessario – le misure di contrasto alla diffusione del virus. Alla popolazione rivolge l’invito a mantenere comportamenti responsabili: perché nel prossimo autunno-inverno il vero rischio reale del COVID-19 è quello di compromettere la tenuta del Servizio Sanitario Nazionale, oggi profondamente indebolito e molto meno resiliente, in particolare per la grave carenza di personale sanitario».

Il monitoraggio GIMBE della pandemia COVID-19 è disponibile a: https://coronavirus.gimbe.org
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15 settembre 2023
Fondazione GIMBE. Fondi sanitari e welfare aziendale: deregulation e scarsa trasparenza li hanno resi strumenti di privatizzazione e sostitutivi della sanità pubblica. Per GIMBE inderogabile un riordino normativo

Si è tenuta ieri, presso la 10a Commissione Affari sociali, sanità, lavoro pubblico e privato, previdenza sociale del Senato della Repubblica l’audizione della Fondazione GIMBE nell’ambito dell’“Indagine conoscitiva su forme integrative di previdenza e assistenza sanitaria”.

«A fronte di un netto aumento degli iscritti ai fondi sanitari e dell’espansione del cosiddetto “secondo pilastro” – ha esordito Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – il settore della sanità integrativa, che include le forme di welfare aziendale, è tra i meno trasparenti della sanità».  Infatti, da un lato l’Anagrafe dei Fondi Sanitari Integrativi (FSI) istituita presso il Ministero della Salute non è pubblicamente accessibile, dall’altro solo dal 2018 il Dicastero pubblica un report, peraltro basato su un dataset molto limitato. E se il recente avvio dell’Osservatorio nazionale permanente dei fondi sanitari integrativi (DM 15 settembre 2022) è un primo passo verso una maggiore trasparenza, ha ricordato il Presidente, «l’implementazione del nuovo cruscotto di dati sarà sperimentale fino al 2024, e solo dal 2025 sarà obbligatorio per i fondi sanitari fornire i dati richiesti, pena l’impossibilità d’iscriversi all’Anagrafe dei FSI per fruire dei benefici fiscali».

«Le potenzialità dei fondi sanitari nel fornire prestazioni integrative e ridurre la spesa a carico dei cittadini – ha spiegato Cartabellotta – oggi sono poi sempre più compromesse da una normativa frammentata e incompleta, una deregulation che ha permesso da un lato ai FSI di diventare prevalentemente sostitutivi di prestazioni già incluse nei livelli essenziali di assistenza (LEA) mantenendo le agevolazioni fiscali, dall’altro alle compagnie assicurative di assumere il ruolo di gestori dei fondi in un ecosistema creato per enti non-profit, dirottando gli iscritti ai fondi verso erogatori privati». Infatti, se da un lato i FSI convenzionati con una compagnia assicurativa sono aumentati dal 55% nel 2013 all’85% nel 2017, dall’altro l’erogazione delle prestazioni rimborsate dai fondi avviene quasi esclusivamente in strutture private accreditate, grazie agli accordi messi in campo dalle assicurazioni che gestiscono i FSI. «A normativa vigente – ha precisato Cartabellotta – di fatto il sistema dei FSI, grazie alla defiscalizzazione di cui beneficiano, sposta denaro pubblico verso l’intermediazione assicurativo-finanziaria e la sanità privata, trasformandosi progressivamente in uno strumento di strisciante privatizzazione. Un sistema su cui poggiano anche le prestazioni sanitarie erogate nell’ambito del cosiddetto welfare aziendale, che usufruisce di ulteriori benefici fiscali».

Nel corso dell’audizione il Presidente ha esposto i dati provenienti da varie fonti: 2° Reporting System del Ministero della SaluteDecimo Report di Itinerari PrevidenzialiANIAISTATOCSE:

  • Nel 2022 la spesa sanitaria intermediata da fondi e assicurazioni secondo i dati ISTAT-SHA ammonta a quasi € 4,7 miliardi; tuttavia il dataset, se da un lato esclude esplicitamente i FSI, dall’altro in parte finisce per ricomprenderli visto che include le polizze collettive attraverso le quali i fondi sono ri-assicurati. «Ovvero la spesa intermediata da fondi e assicurazioni sanitarie appare sottostimata – ha commentato il Presidente – in quanto la sua entità e composizione non sono quantificabili con precisione perché i dati, frammentati e incompleti, provengono da fonti multiple, in parte sovrapponibili».
  • Le stime di Itinerari Previdenziali riportano per il 2021 l’esistenza di 321 fondi sanitari e casse con oltre 15,6 milioni di iscritti (Figura 1).
  • Le stime del Decimo Report di Itinerari Previdenziali riportano, complessivamente, una “marginalità” di quasi € 500 milioni: infatti, nel 2022 a fronte di € 2.862 milioni di quote versate dagli iscritti, i fondi hanno erogato prestazioni per € 2.370 milioni (Figura 2).
  • A normativa vigente, i FSI aumentano la spesa privata totale, senza ridurre quella a carico dei cittadini per tre ragioni. Innanzitutto, almeno il 30% dei premi versati non genera servizi per gli iscritti perché viene eroso da costi amministrativi, fondo di garanzia (o oneri di ri-assicurazione) e utili delle compagnie assicurative. In secondo luogo, perché inducono consumi di prestazioni inappropriate, in particolare sotto forma di “pacchetti prevenzione” privi di evidenze scientifiche, senza fornire un contributo sostanziale all’abbattimento delle liste di attesa. Infine, perché le prestazioni extra-LEA (odontoiatria, long term care) che gravano interamente sui cittadini vengono coperte solo parzialmente.
  • A fronte di consistenti benefici fiscali concessi agli iscritti ai FSI (sino a € 3.615,20 di deducibilità per contribuente) «è inaccettabile che non sia nota – ha ribadito il Presidente – l’entità del mancato gettito per l’erario conseguente alle agevolazioni riconosciute a FSI e al welfare aziendale».
  • Secondo i dati del Rapporto 2022 del think tank “Welfare, Italia”, i FSI sono molto più diffusi al Nord, ovvero il 60% del totale «perché legati ai contratti di lavoro – ha spiegato Cartabellotta – e va sfatata pertanto l’idea che nel Mezzogiorno i FSI possano integrare le prestazioni che lo Stato non riesce a offrire. Siamo di fronte a una frattura Nord-Sud che non si riesce a sanare».

«Ecco perché è inderogabile un riordino normativo – ha concluso Cartabellotta esponendo alla Commissione gli spunti di riforma elaborati dalla Fondazione GIMBE – idealmente un Testo unico in grado di restituire alla sanità integrativa il suo ruolo, ovvero rimborsare prevalentemente prestazioni non incluse nei LEA per riappropriarsi della funzione di supporto al Servizio Sanitario Nazionale. Le prestazioni sostitutive erogate dai FSI non dovrebbero più usufruire di detrazioni fiscali, perché alimentano business privati e derive consumistiche, e le risorse recuperate devono essere indirizzate al finanziamento della sanità pubblica. Infine, bisogna assicurare una governance nazionale dei fondi sanitari, oggi minacciata dal regionalismo differenziato, e garantire a tutti gli operatori del settore le condizioni per una sana competizione».